Nonostante le tossine causate dalle fatiche europee (ci fosse stato a Brighton un arbitro decente, da metà promo tempo la sfida si sarebbe chiusa definitivamente) la Roma di De Rossi conferma quanto di buono mostrato in sessanta giorni, a testimonianza che la svolta in classifica non è figlia soltanto del più classico degli choc determinati dal cambio in panchina, ma ha radici profonde, che affondano nella certezza sempre più evidente della bontà del tecnico giallorosso. A Roma De Rossi verrà visto sempre e per sempre come il Sedici, il capitano, quello con la vena sul collo e il volto trasfigurato quando correva sotto la Curva Sud. Estraniandoci dal contesto emotivo, ci renderemmo conto in pieno che sta dimostrandosi un allenatore vero, capace di entrare nella testa dei calciatori. Cosa difficissima. Non da tutti. Tra gli appartenenti alla sua generazione e a quella immediatamente precedente alla sua, Andrea Pirlo sta capendo sulla sua pelle che non è automatico passare da essere uno dei più forti centrocampisti di sempre a guru della panchina. Ha rischiato di bruciarsi con la Juventus, sta provando a riabilitarsi a fatica in B con la Samp, dopo essere passato per la provincia turca. Filippo Inzaghi e Gattuso, chiamati giovanissimi al capezzale del Milan, ci hanno sbattuto la testa. Non è da tutti. Fra gli allenatori rampanti sta andando benissimo Simone Inzaghi, che pur non essendo romano quando fu chiamato da Lotito aveva una militanza ventennale in quel club. Una specie di roulette russa. Chi è bravo e pronto rimane in vita. De Rossi alla Roma ha dato nuova vita. In città di inseguono i paragoni tra lui e Mourinho, è fisiologico. Ma superfluo. La storia del calcio è piena di tecnici di prestigio che hanno concluso i propri cicli malamente. Se il rapporto con lo spogliatoio si logora, non c'è bisogno che i calciatori remino contro. Molto più semplicemente non riescono più ad accendere un motore la cui testata è evidentemente fusa. Quanto capitato alla Lazio di Sarri è emblematico. De Rossi quel motore lo ha rigenerato. La sua Roma segna 2,5 gol a partita. Le partite le vince. In Europa va avanti anche dominando squadre allenate da tecnici à la page, tipo il Brighton di De Zerbi. La sosta del campionato serve per fare due conti, per chiudere un mini bilancio. Il Bologna quarto in classifica è a portata di mano, senza bisogno di aggrapparsi alla solida possibilità di accedere alla prossima Champions League anche attraverso il quinto posto. In Europa League il Milan prossimo avversario nei quarti non viene visto come uno spauracchio. Anche se ora De Rossi coi rossoneri dovrà provare a sfatare il tabù che vede la Roma, sia con Fonseca sia con Mourinho, lasciare troppo spesso i punti a squadre italiane di alto livello. Finora, tendenza confermata contro la Super Inter, a cui però la Roma ha tenuto testa giocandosela praticamente alla pari. E parzialmente contro la Fiorentina, in un match però troppo condizionato dagli orrori arbitrali per fare testo. Ma siccome le partite con squadre tipo Sassuolo valgono tre punti come gli scontri diretti, la Roma di De Rossi ha dimostrato di essere non soltanto una squadra abile nell'attaccare e troppo vulnerabile in fase difensiva. Contro gli emiliani, senza Dybala, con Spinazzola di nuovo alle prese con guai fisici, e con Lukaku non al meglio, tre giorni dopo la trasferta europea, la squadra è entrata in modalità saggezza. Sfruttando anche le doti balistiche dei singoli, nella fattispecie Pellegrini. E dimostrando si sapere gestire i momenti senza andare in apnea.