Poteva succedere di tutto e in effetti è successo di tutto, come da tradizione fùtbolistica latinoamericana. Come nei racconti di Soriano o Fontanarrosa, però per davvero: botte in campo, botte fuori, polizia, arresti, la partita sospesa, Messi capopopolo che ritira la squadra come fosse il generale San Martìn, il tango tragico del c.t. argentino Scaloni che annuncia (forse) le dimissioni, il nuovo «maracanazo» del Brasile che perde 1-0 e rischia di restare fuori dal Mondiale 2026. E poi la scena cult, che sui social è già un meme di successo e che per le calles di Buenos Aires si compra stampata sulle magliette per i turisti: il portiere «Dibu» Martinez, quello della parata Mondiale al 121’ sul francese Kolo Muani, che stavolta ferma addirittura le manganellate della polizia destinate ai tifosi. Il video è virale: si vede il numero uno dell’albiceleste che dal campo prima si arrampica sulla balaustra e poi con la manona sinistra stoppa un agente che sta per vibrare un colpo. «Poteva essere una strage» ha detto Messi, ormai sempre più a suo agio nelle vesti di leader assoluto, tecnico e morale.

La conquista del Mondiale in Qatar lo ha cambiato, consentendogli di scacciare una volta per tutte il fantasma di Maradona, con quel paragone impossibile che lo aveva schiacciato per anni. Lionel ora è un altro uomo, in campo ma soprattutto fuori: lo si è visto una volta di più l’altra notte a Rio, quando da solo ha deciso di riportare i compagni nello spogliatoio mentre sulle tribune si scatenava l’inferno. «Abbiamo visto come picchiavano la gente, era il modo migliore per calmare la situazione» ha detto. Vedremo se avrà la forza anche per far tornare sui suoi passi Scaloni, che a fine partita ha gettato un popolo nel panico: «Serve un allenatore con energie. Il mio non è un addio, ma l’asticella è molto alta». Si parla anche di attriti con la federazione, che per un’eventuale sostituzione pensa anche a Simeone. Il Brasile invece aspetta a braccia aperte Ancelotti: l’ex guru Diniz arranca.

Si vedrà. Intanto restano gli strascichi per una notte folle, col presidente Fifa, Infantino, che ha parlato di «violenze inaccettabili». Calcio e politica, arsenico e vecchi dispetti: tutto questo ha portato allo scandalo del Maracanà. La rivalità ha radici profonde, c’è chi la fa risalire al 1920 quando il quotidiano argentino Cronica chiamò «scimmie» i brasiliani prima di un’amichevole. In realtà, sia di qua sia di là delle cascate dell’Iguazú sostengono sia ancora più antica. Una cosa è certa: dopo l’elezione a presidente dell’ultraliberista di destra Milei alla Casa Rosada, non migliorerà. Il suo omologo brasiliano, il progressista Lula, non ha preso bene la definizione di «corrotto e comunista» e non si recherà Buenos Aires per l’insediamento il 10 dicembre prossimo. Fùtbol o no, Brasile-Argentina non finisce mai.