Ieri sera, al San Siro, l’Italia ha toccato un nuovo fondo, l’ennesimo. Una sconfitta umiliante per 1-4 contro la Norvegia, in una partita che valeva quel che valeva per le qualificazioni ai Mondiali 2026. La Norvegia è venuta in vacanza a Milano forte di una differenza reti abissale ma questo aggrava ancora di più il passivo pesantissimo subìto a San Siro. Era una questione di onore, di dimostrare che sì eravamo arrivati secondi ma che potevamo essere al loro livello, e che al Mondiale meritavamo di andarci.
E invece gli azzurri (volutamente scritto con la minuscola), nonostante il vantaggio iniziale grazie al gol di Pio Esposito, sono stati travolti nella ripresa da una Norvegia trascinata da Erling Haaland, autore di una doppietta in due minuti nonostante i disperati tentativi del nostro Mancini di fermarlo con mezzi leciti e illeciti, ma anche con le reti anche del talentuosissimo Nusa e il colpo di grazia nel recupero di Strand Larsen. Non è solo una partita persa: è il simbolo di un declino che sembra inarrestabile, una vergogna Nazionale che brucia come poche altre nella storia del nostro calcio.
Perchè questa non è una sconfitta isolata, un incidente di percorso in una campagna altrimenti solida. No, è l’ennesima conferma di una generazione di calciatori che ha letteralmente distrutto la reputazione della Nazionale italiana. Parliamo di un gruppo che, messo da parte il miracolo di Euro 2020, ha già mancato due Mondiali consecutivi: Russia 2018, dove fummo eliminati nei play-off dalla Svezia in un doppio confronto da incubo, e Qatar 2022, quando la Macedonia del Nord ci inflisse una delle umiliazioni più cocenti della nostra storia sportiva.
E ora? Ora rischiamo seriamente di non qualificarci per il terzo Mondiale di fila, quello del 2026 in Nord America. Sarebbe il rafforzamento di un record negativo che nessun tifoso azzurro avrebbe mai immaginato possibile, un tris di fallimenti che marchierebbe a fuoco questo medioevo del calcio italiano.
La generazione attuale, quella dei post-2006, ha raccolto un’eredità gloriosa – quattro stelle sul petto e un solo Mondiale mancato nella storia del Calcio – e l’ha calpestata con un mix letale di presunzione, mancanza di talenti puri e scelte sbagliate a livello federale. Guardiamo i fatti: dopo la vittoria all’Europeo 2020, che sembrava un punto di svolta, è arrivato il crollo.
Ventura è stato quasi riabilitato da Mancini prima e Spalletti poi che hanno provato a rimediare, senza rendersi conto che il materiale umano è quello che è. Giocatori come Donnarumma, Barella o Tonali sono talenti indiscussi, ma intorno a loro c’è un vuoto siderale. Mancano i leader carismatici alla Buffon o alla Cannavaro, mancano i fuoriclasse capaci di trascinare una squadra intera. Ci ritroviamo con una rosa che fatica contro avversari come la Norvegia: una squadra che, pur forte di Haaland, non dovrebbe rappresentare un ostacolo insormontabile per una nazione con la nostra tradizione.
Anche in passato abbiamo avuto le nostre avversarie ostiche durante le qualificazioni, anche molto più forti di questa Norvegia: il Portogallo nel percorso che portava a Usa ’94, l’Inghilterra che ci costrinse agli spareggi per andare a Francia ’98, la stessa Russia negli spareggi per andare in Francia, la Svizzera di Chapuisat, la Croazia di Davor Suker. Ma noi eravamo l’Italia, eravamo consapevoli di esserlo, e alla fine tutte, magari con fatica, hanno dovuto abdicare alla nostra legge che era un mix di tradizione, forza, giocatori e timore reverenziale da parte degli avversari.
Bei tempi ok, ma troppa nostalgia di fronte a quello che siamo adesso: impantanati in un calcio domestico frammentato, con club indebitati e una Serie A che non produce più talenti come un tempo. I nostri giocatori underperformano nelle competizioni internazionali, e la Nazionale ne paga le conseguenze. Rischiare di mancare il Mondiale 2026 non è solo una questione sportiva: è un danno economico, di immagine, un colpo al cuore di milioni di appassionati che hanno cresciuto generazioni intere con i miti di Rossi, Baggio e Totti.
È tempo di una rivoluzione vera. Non bastano cambi di allenatore o ritocchi alla rosa: serve un ripensamento profondo del sistema calcio in Italia. Investire nelle academie, riformare i vivai, attrarre talenti stranieri per alzare il livello. Altrimenti, questa “vergogna nazionale” diventerà cronica, e i nostri figli cresceranno senza vedere gli azzurri ai Mondiali, un tempo appuntamento sacro. Ieri sera contro la Norvegia non è stata solo una sconfitta: è stato un campanello d’allarme che suona da troppo tempo. Svegliamoci, prima che sia troppo tardi.
Siamo passati dal “L’Italia non può andare ai Mondiali!” del 2018, a “L’Italia può non andare ai Mondiali” del 2022, allo “Speriamo di non incontrare l’Irlanda sennò non andiamo ai Mondiali” dei giorni nostri. Specchio dei tempi (tristi) che siamo costretti a vivere.



