Chiamatela, se volete, una Caporetto agostana. Una rosa allungata, forse più omogenea rispetto alla precedente, ma non rinforzata. Come avrebbe voluto, giustamente, Gian Piero Gasperini.
L’uomo chiamato per costruire, alimentare e soddisfare tutti i sogni più mostruosi del creato giallorosso, col suo carattere invasivo, da cannibale di alibi, si è ritrovato a essere l’ennesima vittima del sistema Roma. Di quelle vittime, per giunta, piene di inappuntabili giustificazioni.
Ieri, a poche ore dal fetente gong, quello che ufficialmente fa cadere le penne, spegne i fax e mette a riposo le PEC, sogni e speranze di un popolo sono svaniti dietro un inspiegabile (e pericoloso) nulla di fatto. Anche i più scettici, sognatori coi piedi ben saldi a terra, speravano nel colpo a sorpresa. Nell’atto d’amore, soprattutto cinematografico, della proprietà. E invece no. Rigorosamente, no.
Tra rifiuti, tetris indefinibili, capriccetti, pagherò e promesse da marinai, si sono consumate una serie di fumate nere. Così, come accade in contesti ben più liturgici, la Roma si è scontrata, per l’ennesima volta, col suo passato. Con quel modo, spesso tutto “Trigoriense” di non volersi davvero bene.
Come il famoso marito geloso che, pur di far un dispetto alla moglie, si taglia…beh, chiaro no?
Sancho è andato in prestito secco all’Aston Villa e, visto l’atteggiamento avuto nell’ultimo mese di trattative (?), sta bene così. George, il suo potenziale rimpiazzo, è rimasto al Chelsea a maturare. Domínguez ha fatto pace col Bologna e da lì, pure per motivi meramente economici, non si è (s)mosso.
Stesso discorso per Dovbyk, Giménez, Baldanzi, Pessina, Pellegrini e tutti quelli che sono rimasti nascosti, forse troppo, all’interno dell’agenda di Massara.
E poi, sì, c’è lui: il direttore sportivo. Italiano, come tutti auspicavamo, con esperienza anagrafica, abituato (fin troppo) all’ambiente giallorosso e con quelle caratteristiche perfette per far parte di una rifondazione calcistica. A Roma, ovviamente.
Saper stare al suo posto, seguire (ed eseguire) le coordinate dei custodi del Tempio, vendere il vendibile, supportare il non vendibile e consegnare all’allenatore eventuali alternative alla sua wish list. Risultato? Sotto gli occhi di tutti. Attenuanti? Qualcuna. Aggravanti? Diverse.
Risultato? La solita vagonata di alibi: “è arrivato solamente da un paio di mesi”, “Gasperini si è impuntato con Sancho”, “ci sono pochi soldi”, “i paletti del Fair Play Finanziario” e via dicendo. Fino, quasi, alla sua utile assoluzione.
Perché, come si diceva all’inizio, a Roma si vive con fierezza di giustificazioni. O, se vogliamo dare un taglio di ancor più giallo (e poco rosso), come raccontava Faletti, di “promesse e scommesse. Non mantenute le prime, perse le seconde”.
La storia insegna, ma non ha scolari e sono pochi gli uomini che ci mettono realmente la faccia, prendendosi immediatamente le loro responsabilità. Facendosi da parte o, ad esempio, non accettando ruoli per cui sono potenzialmente inadatti.
A tutte le latitudini gerarchiche. E, soprattutto, a tutte le età. Che siano 56, 67 oppure 73 anni. Perché la Roma, nonostante le continue invasioni barbariche, rimane un amore totale. E totalizzante. Per chi la vive aggratise.



