Marco Panichi, ex preparatore atletico di Djokovic e di Sinner prossimo all’inizio dell’esperienza con Rune, romano e romanista, è intervenuto in esclusiva ai microfoni di Tele Radio Stereo 92.7.
Queste le sue parole:
Perché è tifoso della Roma e quale è il suo undici ideale di tutti i tempi?
“Perché sono della Roma è facile… nasco da una famiglia di romanisti. Ricordo la prima volta che andai allo stadio con mio padre, un Roma-Foggia con tripletta di Pierino Prati. Avrò avuto 12 anni… da lì è cominciato un amore infinito. Indipendentemente dal fatto che la squadra vinca o meno, è una cosa che rimane dentro: sono contento di avere questo morbo. L’undici ideale è difficilissimo: una persona ha i ricordi da bambino, poi ricorda le vittorie e gli scudetti. Abbiamo avuto dei campioni immensi: da Rocca, che per me era l’idolo da bimbo e il motivo per cui ho scelto di fare questo mestiere con la consapevolezza di quanto il talento fisico possa fare la differenza, al capitano… sono sempre stato un ammiratore enorme di Amantino, c’è stato anche Candela. Ne sono passati tanti, è difficile. Il mio bomber? Pruzzo, ogni volta che facciamo il suo nome tra amici ci facciamo il segno della croce. Forse è il primo grande acquisto che ricordo. Poi abbiamo avuto la fortuna di avere Völler e Batistuta“.
Che cosa pensa della preparazione atletica di Gasperini e c’è qualcosa che viene mutuato dal tennis al calcio?
“Credo che Gasperini, non me ne vogliano gli allenatori precedenti, ha dimostrato da parecchio tempo che fisicamente le sue squadre corrono fino alla fine. Lo abbiamo visto con l’Atalanta. Ho avuto la fortuna di avere amici che lavorano come preparatori in squadre italiane e mi ha fatto piacere vedere come si abbia cura dell’aspetto posturale, che permette di poter esprimere il potenziale in maniera migliore: c’è minor dispendio e maggior efficacia, è una base da cui partire per sfruttare il potenziale. Oggi c’è una ricerca del particolare molto più accurata rispetto a prima, un tempo si lavorava molto sul volume mentre oggi si lavora tanto anche a secco e in palestra“.
Zeman era un altro che lavorava tantissimo sulla preparazione, ma a differenza di Gasperini i calciatori sono stati in grado di rendere anche senza di lui: c’è una spiegazione?
“Non credo ci sia un discorso di preparazione fisica in merito, poi ovviamente bisognerebbe stare dentro questo tipo di situazioni. Il fatto che i giocatori che allena Gasperini in altre squadre non abbiano riproposto ciò che c’era nell’Atalanta può essere vero, ma forse anche perché non hanno ritrovato quel tipo di sistema che predilige una cultura del lavoro, una mentalità e una disciplina del genere e quindi non sono stati in grado di proporre le stesse cose. Potrebbe anche esserci un discorso del genere. Credo che oggi la scienza ci aiuti perfettamente nel capire lo stato fisico del giocatore, non solo il carico di lavoro esterno ma anche il carico interno che ogni giocatore ha e che determina poi un certo tipo di prestazione. Oggi tutti i miei colleghi hanno strumenti scientifici che aiutano a monitorare lo stato del calciatore, a non sovraffaticarlo e a evitare il rischio infortuni. Un giocatore inserito in un contesto molto professionale credo sia in grado di proporre performance ottimali“.
Quanto viene controllata la parte fisica, anche in ottica mercato?
“Credo proprio di sì. Ovviamente a seconda del ruolo ci sono dei parametri di cui tener presente. Sappiamo per esempio che un centrocampista o un mediano farà un tot di chilometri maggiore rispetto all’attaccante. Questa cosa succede anche nel tennis: quasi mai si ripete la stessa identica situazione e al di là dei dati bisogna tenere conto anche del ‘talento decisionale’. E’ un insieme complesso. Non possiamo pensare di acquistare un giocatore solo per certe caratteristiche quando magari non è in grado di stare in campo con la squadra o fare gruppo fuori dal campo. La verità sta sempre nel mezzo: bisogna avere atleti che garantisticano determinate prestazioni, ma non può essere solo quello il parametro“.
Conosce il papà di El Aynaoui, il tennista Younes?
“Assolutamente sì, ma non sapevo che il figlio fosse calciatore professionista. La prossima volta che vedrò il papà glielo dirò, di sicuro. Younes è un personaggio storico nel tennis, ha portato per la prima volta un continente in auge nel tennis. E’ una persona simpaticissima e super estroversa, un grandissimo talento e un grandissimo fisico. Sarebbe una favola bellissima se il figlio potesse diventare campione con la Roma. Quando c’è una componente genetica importante, alla fine speriamo tutti che il figlio possa diventare campione a Roma come il papà. Ci sarà sicuramente una forma di imprinting genitoriale: Younes è stato tra i 20 giocatori più forti del mondo anche perché si allenava duramente, Neil avrà respirato magari inconsciamente un’aria del genere e spero l’abbia fatta propria“.
Le piacerebbe lavorare nella Roma?
“Credo che un preparatore atletico di tennis possa lavorare anche nel calcio. Al di là delle dinamiche e dello sport in sé, che nel calcio è di squadra, i calciatori sono legati contrattualmente a un club per un tot numero di anni mentre nel tennis c’è un meccanismo differente perché ogni anno si riparte. Mi fa piacere l’evoluzione atletica che c’è stata in questi anni nel calcio. Andare alla Roma per me, più che un’ambizione, sarebbe un sogno. Ho avuto la fortuna di parlare con Gasperini al Roland Garros, mi sono presentato da tifoso romanista. E’ una persona che ha una cultura sportiva enorme, mi espongo raramente su queste cose ma sono convinto che farà veramente bene“.