Luigi “Gigi” Cagni, ex difensore e allenatore di numerose squadra in serie A, è intervenuto in esclusiva ai microfoni di Tele Radio Stereo 92.7 a pochi giorni dalla presentazione del suo libro “Rànget! Cinquant’anni a imparare dal calcio”.
L’Italia riuscirà a qualificarsi al prossimo Mondiale?
“Parlando della Nazionale è inevitabile parlare del calcio italiano e dei giocatori del calcio nostrano. Chi comanda deve capire che negli ultimi 10 anni qualcosa è stato sbagliato: non abbiamo più talenti. Fare la convocazione oggi è una cosa facilissima. Ricordo gli allenatori della Nazionale degli anni passati: dovevano scegliere tra 60-70 giocatori. Oggi. lo può fare chiunque avendo a disposizione 30-35 elementi. Non ci sono più leader nelle squadre, tantomeno italiani e tocca al CT ricoprire quel “ruolo”. Se andiamo ai Mondiali? Non lo so, siamo in una situazione delicatissima, ma spero proprio di sì“.
Gasperini, che è un leader, sembra aver già capito com’è Roma. Concorda?
“Quando è arrivato a Roma ho notato un qualcosa nei suoi confronti, eppure ero certo e convinto che il popolo romanista si sarebbe divertito. Lo conosco da una vita e ci stimiamo molto, non è simpaticissimo ed è l’unico allenatore con cui ho litigato in campo. Come? Lui quando è in panchina va in trance agonistica, a volte dice delle cose che possono disturbare. Ma il problema non è quello: è una persona onesta e che conosce il calcio, non potevo sapere che cosa sarebbe potuto succedere nella Capitale, ma ero certo che i romanisti lo avrebbero apprezzato”.
Qual è il suo merito principale?
“Oggi nel calcio la determinante non è né la tecnica né la tattica: bisogna costruire prima l’uomo a livello mentale e fisico. E’ un segreto non-segreto, e lui lo ha capito 10 anni fa. Quando è andato all’Atalanta ha portato cose nuove in campo, ma nessuno aveva capito il vero segreto. Chiaramente servono giocatori forti e se devi fare delle Coppe anche una rosa lunga, ma la genialità di allenatori del genere come Gasperini è inventare delle cose. Purtroppo non hai centravanti, ma ci sono giocatori determinanti che devi trovare il modo per far rendere al meglio: lui ha questa capacità perché è molto bravo“.
Lunedì, a Genova, presenterà il suo libro ‘Rànget’: ce ne parla?
“‘Ranget’ è la parola che mi diceva mia madre, ‘arrangiati’: e io mi arrangiavo, insieme a mio fratello. Non lo faceva appositamente, mio padre e mia madre per le cose importanti ci sono sempre stati. Ma da bambino tante richieste non sono importanti, da lì il titolo del libro. Questa cosa mi ha costretto a crescere, diventando adulto con l’esempio dei genitori, chi frequenti e l’ambiente dove cresci. E io davo l’esempio ai miei compagni di squadra e poi, da allenatore, ai miei giocatori e nel privato ai miei figli. Non mi interessava scrivere la mia vita, ma quella della mia generazione. Nei miei cinquant’anni dal calcio ho imparato tante cose, ma tutto è dipeso da come sono nato e cresciuto. Che cosa non ho imparato? Non sono mai stato diplomatico e questa cosa me ne ha precluse tante altre, ma sono contento così. Però dopo cinquant’anni di calcio posso guardare tutti negli occhi. Parlo ai genitori, non ai ragazzi: oggi i genitori non sanno dire ‘no’. Senza storia non c’è futuro e i ragazzi di oggi non sanno niente. Oggi non si è inventato niente, sono tutte cose del passato“.



