Paulo Dybala ha rilasciato una lunga intervista a Sport Illustrated, parlando anche del suo arrivo alla Roma e rivelando alcuni retroscena ed alcune emozioni legato all’approdo in giallorosso. Ecco, di seguito, le dichiarazioni della Joya:
Sulla chiamata di José Mourinho.
“In quel momento mi sentivo davvero strano: l’incertezza di non sapere dove avrei giocato, cosa sarebbe successo o se avrei dovuto lasciare l’Italia, che è praticamente diventata casa mia. Sono qui da 12 o 13 anni ormai e, onestamente, probabilmente conosco l’Italia meglio dell’Argentina a questo punto. Ricordo che all’epoca volevo aspettare un po’, prendermi una pausa. Ero a Torino, a casa. Un giorno, uno dei miei procuratori venne da me e mi disse che Mourinho voleva parlarmi. Certo, Mourinho è speciale: è un allenatore che ha vinto tutto, una persona unica. Non potevo ignorare la sua chiamata. Ma sapevo che mi avrebbe convinto, ed è per questo che ho voluto aspettare. La prima volta abbiamo solo avuto una bella chiacchierata, è stata una lunga conversazione, ma non ha fatto pressione per ottenere una risposta immediata. Ma il giorno dopo voleva richiamarmi, così gli ho detto di darmi qualche ora per parlare con la mia famiglia e mia moglie. Ho parlato con loro e con la mia squadra e, una volta presa la decisione di unirmi alla Roma, gli ho mandato un messaggio dicendogli: ‘A presto’. E con quello abbiamo concluso l’affare“.
Il retroscena con Pinto.
“Poi ci siamo incontrati con Tiago Pinto, nell’ufficio che avevamo a Torino e si è presentato con la maglia numero dieci. Totti è stato il numero dieci della Roma ed è stato amatissimo dalla gente. Per quello che rappresenta per questa città. ovviamente ho pensato non fosse il momento adatto per fare una cosa del genere. Nessuno l’ha indossata dopo di lui. Ero appena arrivato e nonostante venissi da un club come la Juventus, risposi a Pinto: ‘Tiago grazie, ma per rispetto preferisco indossare il numero 21’“.
Sulla presentazione al Colosseo Quadrato.
“È stata una delle poche volte nella mia vita in cui le gambe mi tremavano un po’. Giochiamo a calcio davanti a 50.000 o 60.000 persone, ed è normale. Ma loro vengono per vedere uno spettacolo, per vedere la partita. Ma in quel momento, la folla era lì solo per me. Non mi aspettavo un’accoglienza del genere. I tifosi mi hanno davvero sorpreso. È stato qualcosa di bellissimo, un momento unico nella mia vita e nella mia carriera. E in quel momento, ho capito che avrei dovuto impegnarmi il doppio per restituire tutto l’amore che mi avevano dimostrato quel giorno“.
Sull’offerta di quest’estate dall’Arabia.
“Non mentirò, sono numeri che fanno davvero riflettere. Ma la verità è che sono molto felice qui a Roma e anche la mia famiglia è molto felice qui. Mia moglie è una parte molto importante della mia vita e la sua felicità è anche la mia, e se lo chiedete a mia madre, lei era quella che meno voleva che me ne andassi. Ho avuto una grande carriera e l’amore che ricevo dalla Roma, dai tifosi, dalla società, dalla proprietà e dalla gente in strada, non so se lo troverei da nessun’altra parte. Quando si mette qualcosa sulla bilancia, bisogna puntare su ciò che pesa di più, ed è per questo che abbiamo deciso di rimanere a Roma“.
Sulla finale di Budapest.
“È sempre brutto, sempre triste perdere. Però credo che anche la sconfitta faccia parte del gioco. Mi ha fatto malissimo, sono stato male perché pensavo che il gruppo meritasse di vincere. Uno pensa ai compagni, alla squadra, alla gente. Ha fatto male anche per come è andata la finale, ma come ha detto Matic ‘Questo è il calcio’. A volte vinci, a volte perdi”.