La macchina commerciale più ricca dello sport è quella della Fifa ed è in mano a Romy Gai, torinese, un passato alla Juve e dal 2003 a contatto con i Paesi arabi. Anche per questo il presidente Gianni Infantino lo ha voluto: tra la lettura dei libri sulla storia dell’Islam e la fondazione della Lega degli Emirati, Gai è l’italiano più alto in grado al Mondiale («Dopo il presidente, che è italiano anche e soprattutto col cuore») ha sviluppato l’arte di mediare con culture, sportive e commerciali, distanti tra loro: «Se mi sforzo di capire le differenze che ci sono, alla fine assieme abbiamo qualcosa di più grande».

L’abbraccio tra la federcalcio mondiale e il Qatar porta nelle casse della Fifa 7,5 miliardi (cifra che verrà confermata dal congresso di marzo, ma è già stata comunicata da Infantino ai 211 presidenti delle federazioni nazionali a Doha), due miliardi in più del record già abbattuto in Russia. «Quello che dobbiamo ricordare, prima di tutto a noi stessi, è che la Fifa è un’azienda no profit. I ricavi che inseguiamo sono per il beneficio del sistema calcistico: circa il 75% delle federazioni del mondo si sostiene grazie ai fondi erogati. Un miliardo e mezzo di questi fondi andrà allo sviluppo nelle aree più disagiate: lavorare per il bene del calcio è un concetto che ci deve guidare ogni giorno».

In dodici anni di lavori dopo l’assegnazione della Coppa il Qatar ha speso 300 miliardi secondo l’Economist, cifra non smentita, che va contestualizzata. Perché i qatarini nell’area fino a 50 anni fa erano considerati i cugini poveri e ora si pongono come un Paese di mediazione fra le tensioni: «Per loro è stata un’opportunità di realizzare in pochi anni quello che avrebbero potuto fare in tempi molto più lunghi, a livello economico ma anche sociale: il Qatar era un punto di passaggio, ora vuole diventare una destinazione e un punto di incontro».

La Coppa in un’area così ristretta resterà qualcosa di unico. E Gai è arrivato in Fifa non solo per le sue competenze nell’area mediorientale, ma per preparare sfide ancora più complicate. Il prossimo Mondiale si terrà fra Usa, Messico e Canada: «Ovvero il mercato più competente e competitivo. Questo sarà anche l’ultimo Mondiale che prevede un ruolo del Paese ospitante nell’organizzazione, dal prossimo sarà gestito tutto dalla Fifa: ciò ci consentirà di controllare meglio tutti gli aspetti per essere più efficienti nel preparare il più grande spettacolo della Terra. Stiamo battendo ogni record di ascolti tv e siamo in linea con l’obiettivo di 5 miliardi di telespettatori: sarebbe un risultato incredibile».

In America la birra allo stadio si potrà bere, in Qatar così come del resto in diversi Paesi europei, invece no. E la comunicazione a ridosso dell’evento ha fatto clamore: «Posso capire che fa notizia, ma sono percorsi e aggiustamenti condivisi fra Fifa, lo sponsor e il Paese ospitante. All’apice di una piccola crisi abbiamo annunciato il rinnovo con Bud» spiega Gai.

Per quanto riguarda la politicizzazione dell’evento, l’unico sponsor che se ne è andato (una catena di supermercati tedeschi che sponsorizza la Germania) aveva il contratto in scadenza il 31 dicembre e aveva già annunciato l’addio. Quindi sembra un falso problema per la Fifa che, come il Cio, ha l’obbligo regolamentare di tenere la politica fuori dal campo: «Credo che il rispetto di una regola sia un valore aggiunto anche per chi ha un approccio commerciale e aggiungo che la Fifa si confronta di continuo con le persone. Includiamo, non escludiamo. Il Mondiale ha un impatto globale e incontra sensibilità diverse. Gli arabi sono consapevoli delle loro ambizioni e dei loro limiti, hanno un approccio solido e concreto e noi abbiamo un’affinità culturale con loro, radicata in tanti periodi della storia. Credo che apprezzeremo davvero questa esperienza più avanti. E rimarrà un bel ricordo di questo Mondiale».

Gli americani sono già in piena attività per il ’26 e i padroni della Nfl sono rimasti colpiti dai numeri della finale del Mondiale femminile 2019 che ha avuto 250 milioni di telespettatori, contro i 150 del Super Bowl: «L’obiettivo per il 2026, con 16 sedi, 48 squadre e 80 partite, è quello di rendere ogni partita come un Super Bowl. Le distanze saranno lunghe e sarà difficile vedere tutto: anche per questo ogni gara deve essere un’esperienza per i tifosi. La nuova sfida è questa».