DOHA Balla Ney, ma non da solo. Da soli, poi, che divertimento c’è? Questo Brasile è un samba collettivo in faccia al mondo, senza freni, un po’ irrispettoso, persino il c.t. Tite, che parla come un predicatore di frontiera, si lascia andare su una gamba sola, e pazienza se i coreani aspettano a centrocampo, i ragazzini stanno tutti in cerchio prima e poi uno in fianco all’altro con la coreografia studiata che neanche un balletto su TikTok. Balla Ney, ma non è il Brasile di Ney. Non solo, perlomeno. Anche se le stelle, il cielo, la gente, i compagni in campo, persino l’arbitro che assegna un rigore per fallo su Richarlison e lo stadio che invoca il suo nome ed esplode in un boato quando lui prende, nervoso, la palla in mano, vogliono Ney.

Dopo Messi e Mbappé, manca lui del trittico di stelle a libro paga del qatarino Al Khelaifi. In fondo è sempre mancato qualcosa. Il Pallone d’oro. Lo status dei più grandi. L’amore incondizionato. Neymar talentuoso, Neymar che non lo fermi, Neymar un po’ meno dei più grandi. Ma il recupero lampo ha scacciato i fantasmi del 2014 (quando aveva la schiena rotta e un medico gli disse «ok la cattiva notizia è che non giocherai i Mondiali, la buona è che ancora un centimetro e non camminavi più»), lo ha rimesso sulla scena e la distanza, qui, può ancora essere colmata. Nel primo gol manca il pallone che arriva a Vinicius, nel secondo realizza il rigore con un tiretto piazzato e alza le braccia al cielo, è il terzo brasiliano con Pelè e Ronaldo ad aver segnato in tre Mondiali, 14 minuti e la partita appena cominciata è già finita, nel terzo guarda il numero di Richarlison (tre palleggi di testa e due di destro prima di avviare il triangolo e liberarsi per il tiro), nel quarto comincia l’azione di un contropiede da applausi concluso da Paquetà. Mica male per uno che torna dopo undici giorni per una lesione al legamento della caviglia.

 
 

Il resto verrà, il divertimento è appena cominciato. Manca, per esempio, solo un gol (76 a 77 in Nazionale) a prendere Pelé , il vecchio leone presente nella mente di tutti, che non si capisce bene come stia ma dal cui profilo social parte un incoraggiamento alla Seleçao («Nel 1958 pensavo di mantenere la promessa che avevo fatto a mio padre. So che oggi molti di voi hanno fatto promesse simili. Oggi guarderò la partita dall’ospedale e farò il tifo per ognuno di voi»).

Giocano anche per lui e Ney, a fine partita, con Danilo porta in campo uno striscione per O Rei. Mbappé lo ha appena superato per precocità, e Messi ha passato Maradona per reti segnate ai Mondiali. Ora tocca a Ney. I primi due fin qui sono stati la torta, lui ieri per 81’ è stato la ciliegina. Mbappé e Messi, poi, uniscono un popolo, Ney divide. Cascatore e picchiato assieme, Neymartyr e Neymania, ragazzo di eccessi e guai ma «dall’etica del lavoro irreprensibile», come ha detto il suo allenatore al Psg (che è anche quello degli altri due) Galtier. Non è facile essere Neymar. A Parigi è andato per togliersi dal cono d’ombra di Messi, un ragazzino nel 2017 doveva fargli da spalla: quel ragazzino si chiamava Mbappé. E poi è arrivato pure Messi. Sostenitore dell’estrema destra di Bolsonaro, una parte del Brasile era contenta quando si è fatto male. La Folha di San Paolo ha titolato «Come tifare il Brasile di Neymar nonostante Neymar?». Per ora è risolto: gli altri sono talmente bravi che non è solo il Brasile di Neymar. Musica.