Il Mondiale in Qatar è stato scosso dall’entità dei recuperi, decisa dalla Fifa: 24 minuti tra il primo e il secondo tempo in Inghilterra-Iran! Ne hanno scritto in maniera critica sul Corriere Paolo Casarin Mario Sconcerti sottolineando il sostanziale fallimento dell’iniziativa che tendeva a ripristinare il tempo effettivo di gioco. Forse val la pena di aggiungere qualche annotazione puramente televisiva.

L’evento sportivo per raggiungere la piena televisività è stato sfrangiato da una tecnologia che originariamente non gli apparteneva: i replay, i ralenti, le sovrimpressioni, il moltiplicarsi dei punti di vista, le moviole, da ultimo la Var. Soprattutto alcuni sport sono stati «trasformati» per rispettare le esigenze di programmazione: i calci di rigore dopo i tempi supplementari, il tie-break, il nuovo punteggio della pallavolo, tanto per citare alcuni esempi. Ma le grandi piattaforme in streaming non sono più schiave del palinsesto, dei rigidi orari di programmazione: una volta di una corsa ciclistica si trasmettevano gli ultimi 40 km, ora si trasmette l’integrale, dalla partenza all’arrivo. Per una piattaforma, più l’evento dura meglio è per i suoi ascolti.

L’allungamento delle partite ha due origini principali: la Var e il Covid, con il cambio di ben cinque calciatori. Non assistiamo più a una partita, ma a due, se non a tre. Cambiare metà squadra, significa cambiare il corso dell’evento, a favore soprattutto di chi può permettersi ricambi di lusso. Ecco allora che il lungo recupero diventa una sorta di supplemento, di appendice. La partita non deve necessariamente finire perché dopo va in onda un altro programma: teoricamente potrebbe durare in eterno, come certi set tennistici che non finiscono mai. Se si ritorna ai tre cambi, possiamo riappassionarci alla retorica del 90’ minuto e non mettere a dura prova la tenuta mentale del tifoso. Altrimenti il recupero sarà fatalmente il terzo tempo.