Neanche a dirlo, non appena ieri è diventata ufficiale la notizia che, prima dell’autunno, la Roma sarà ufficialmente fuori dalla Borsa, i tifosi hanno subito iniziato a sognare ancora più in grande. Come se essere una società privata e non più per azioni, e di conseguenza più snella, significasse automaticamente poter comprare Messi e Ronaldo insieme. Non è ovviamente così, i romanisti sono sognatori sì ma ingenui no, però è innegabile che il delisting permetterà all’azionista unico, il gruppo Friedkin, di avere meno vincoli sulle attività di campo (tra cui anche il mercato) e quelle corporate (tra cui anche, se non soprattutto, lo stadio).

LA PARTE SPORTIVA 

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Questo, naturalmente, consentirà alla società un risparmio sui costi di quotazione e potrebbe agevolare operazioni straordinarie che possano rafforzare il club sportivamente ed economicamente. D’altrocanto, i Friedkin hanno già dimostrato di non avere problemi a investire cifre di un certo spessore: tra acquisto delle quote e successivi versamenti nelle casse del club, in due anni hanno investito oltre 600 milioni. Dall’agosto 2020 allo scorso maggio hanno versato 370 milioni di euro, una media di 17 al mese. Includendo i 199 pagati alla cordata di Pallotta per il passaggio delle quote e quelli impegnati nell’Opa, l’operazione Roma è costata finora oltre 600 milioni. Uscire dalla Borsa, magari con l’ingresso di nuovi soci e nuovi capitali in futuro, garantirà al presidente Dan Friedkin e a suo figlio Ryan, di poter operare con più rapidità e, soprattutto, più efficacia.

 

LA PARTE COMMERCIALE 

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A questo si lega tutta la parte commerciale del gruppo. La Roma ha necessità di aumentare i ricavi: New Balance, con ogni probabilità, non sarà più lo sponsor tecnico del club e c’è già Adidas in pole position. Altri sponsor sono pronti ad entrare, spinti anche dal boom della Conference e dall’effetto Dybala, con l’obiettivo di crescere oltre che sportivamente (decisivo sarà l’ingresso in Champions League) anche dal punto di vista commerciale. E poi c’è la partnership con Fendi, che vestirà Pellegrini e compagni, tutta da sviluppare, a Roma e nel mondo. Con novità che potrebbero arrivare già nei prossimi giorni perché la storica maison romana non vede l’ora di legare, ancora di più, la propria immagine alla Roma, un brand considerato molto in crescita sotto ogni punto di vista. Piccola nota di colore social: da quando Francesco Totti è sbarcato su Instagram, la Roma aveva avuto sempre meno follower del suo storico capitano. Detto che lui posta pochissimo (235 post) mentre il club giallorosso ha una strategia comunicativa molto importante (oltre 9mila), c’è stato il pareggio, con 4.7 milioni di follower ciascuno.

LO STADIO 

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Capitolo stadio, altro aspetto fondamentale del piano di sviluppo dei Friedkin: il club ha trovato un accordo con il Comune, ufficializzato nelle scorse settimane, per l’area di Pietralata. L’obiettivo è averlo nel 2026, al massimo un anno dopo per i 100 anni del club. Per la proprietà è fondamentale, ma Dan e Ryan non si sono mai spinti a dire: “Senza stadio in cinque anni andiamo via”. Non lo hanno fatto né pubblicamente (le loro dichiarazioni si contano sulle dita di una mano) né privatamente. E questo, per i romanisti, è quello che conta di più. La Roma spera di arrivare ad almeno 70 milioni di introiti da stadio e, con la presenza in Champions, il fatturato potrebbe puntare ai 300 milioni, circa 100 in più di quelli attuali. Un futuro, quindi, tutto da scrivere, ma per i Friedkin l’uscita dalla Borsa era fondamentale. E, per riuscirci, insieme ai dirigenti italiani, preziosissimi, hanno tentato una strada nuova: coniugare finanza e passione, parlando al portafoglio, ma anche al cuore, degli azionisti. Il risultato è stato ottimo.